Basterà la neve caduta questo inverno per recuperare il deficit di massa dei
ghiacciai ?
In
molti
si
sono
chiesti
se
le
abbondanti
nevicate
di
questo
inverno
2017
–
2018
possono
rimediare
alla
grave
situazione
in
cui
si
sono
venuti
a
trovare
i
ghiacciai
alpini
negli
ultimi
anni,
con
sensibili
riduzioni di area e di volume.
Si
tratta
certo
di
domanda
quanto
mai
pertinente,
anche
se
emotivamente
legata
alla
drammatizzazione
mediatica
sui
temi
climatici
che
sta
sempre
più
condizionando
l’opinione
pubblica.
Certamente
la
situazione
in
cui
si
trovano
oggi
le
masse
gelate
delle
nostre
montagne,
a
cominciare
da
quelle
dell’Alto
Adige,
è
gravemente
compromessa,
dopo
annate
con
accentuata
siccità
invernale
e
temperature
estive
elevate.
Due
fattori,
questi,
che
hanno
portato
ad
un
deficit
che
non
ha
interessato
solo
le
masse
gelate,
ma
che
si
è
ripercosso
anche
sulla
stessa
risorsa
idrica.
Ricorderemo
certamente
le
condizioni
in
cui
si
sono
venuti
a
trovare
i
corsi
d’acqua,
non
solo
i
minori
ma
anche
i
fiumi
come
ad
esempio
l’Adige
che
non
aveva
mai
mostrato
una
magra
tale
da
farlo
sembrare
per
certi
tratti
di
pianura addirittura in secca.
Tornando
alla
domanda
iniziale,
si
può
affermare
che,
per
quanto
si
sia
trattato
di
un
inverno
nevoso,
da
solo
non
può
bastare
a
sopperire
al
deficit
idrologico
e
glaciologico
perché
qualche
metro
di
neve
in
più
non
può
considerarsi
risolutivo
del
problema.
Va
sottolineato
anche
che
la
nevosità
di
questo
inverno
non
rappresenta
una
anomalia
dato
che
l’andamento
meteo
climatico
non
ha
nulla
di
eccezionale.
Per
quanto
riguarda
i
ghiacciai,
è
ancora
troppo
presto
per
parlare
di
bilanci
dato
che
i
conti,
o
meglio
il bilancio glaciologico o di massa, si fanno alla fine dell’estate.
Per
le
valutazioni
del
“bilancio
annuale”,
riferito
all’annata
meteorologica
che,
per
l’alta
montagna
in
generale,
si
comincia
con
il
mese
di
Ottobre,
quando
inizia
a
depositarsi
il
manto
nevoso,
per
finire
in
Settembre
dell’anno
(solare)
successivo,
quando
si
può
considerare
esaurita
l’ablazione
estiva
(cioè
lo
scioglimento della neve e del ghiaccio).
E’
proprio
sulla
base
di
questa
periodicità
che
si
possono
determinare
le
dinamiche
glaciologiche.
Infatti
in
luoghi
particolari
dell’alta
montagna,
con
caratteristiche
morfologiche
e
di
esposizione
idonee,
alla
fine
dell’estate
può
rimanere
una
certa
quantità
di
neve
residua
e,
se
questo
fatto
perdura
negli
anni,
è
evidente
come
vi
sia
un
progressivo
incremento
del
cumulo
di
neve
la
quale,
col
passare
del
tempo,
si
trasforma
via
via
in
nevato
e
poi
finalmente
in
ghiaccio
di
ghiacciaio.
Questa
metamorfosi
fa
si
che
aumenti
moltissimo
la
densità
passando
da
circa
30
chilogrammi
per
metro
cubo (neve fresca), a oltre 900 chilogrammi per m3 (ghiaccio di ghiacciaio).
Se
il
processo
di
accumulo
prosegue
nel
tempo,
gli
spessori
della
massa
gelata
possono
diventare
notevoli,
tanto
da
farle
assumere
un
comportamento
plastico
che
ne
determina
il
movimento
(verso
il
basso).
Si
assiste
perciò
alla
formazione
di
un
vero
e
proprio
ghiacciaio,
con
tanto
di
lingua
di
ablazione
la
quale
prende
origine
dal
bacino
di
raccolta.
Naturalmente
i
tempi
di
tale
evoluzione
sono
molto lunghi, anche di parecchi decenni per i ghiacciai di maggiori dimensioni.
Tanto
per
dare
una
sintetica
dimensione
spazio
–
temporale
del
fenomeno
glaciale,
le
grandi
glaciazioni
(5
negli
ultimi
due
milioni
di
anni)
sono
durate
decine
di
migliaia
di
anni,
e
sono
state
intervallate
da
altrettanti
periodi
caldi
di
analoga
durata.
Riguardo
a
periodi
storici
ben
più
brevi
e
recenti,
si
sono
sempre
alternati
periodi
freddi
a
periodi
caldi,
anche
di
più
di
quello
attuale.
Per
oltre
tre
secoli,
ad
esempio,
dal
1500
fino
a
circa
metà
del
1800,
ci
fu
in
Europa
un
periodo
molto
freddo
che è stato definito come Piccola Età Glaciale.
Tuttavia
l’attuale
tendenza
evolutiva
del
clima
non
depone
a
favore
dell’ottimismo,
in
senso
glaciologico.
Dagli
anni
’80
del
secolo
scorso,
infatti,
è
cominciata
una
fase
estremamente
negativa
(oggi
ancor
più
accentuata)
che
ha
ridotto
drasticamente
le
masse
gelate.
Inoltre
dai
dati
che
oggi
abbiamo
a
disposizione
non
si
hanno
indicazioni
di
inversione
di
tendenza
che,
comunque,
dovrebbe
essere
valutata
nel
lungo
periodo
(decenni).
Quello
che
oggi
si
definisce
come
riscaldamento
globale
trova conforto nell’analisi dei diversi parametri meteorologici e climatici.
Per
valutare
le
conseguenze
delle
dinamiche
meteo
climatiche
sulle
masse
gelate,
vanno
effettuate
periodiche
misurazioni
sia
riguardanti
sia
le
variazioni
frontali
che
quelle
idonee
a
quantificare
il
bilancio
di
massa.
I
controlli
avvengono
in
base
alla
scansione
stagionale.
Per
quanto
riguarda
il
bilancio
di
massa
su
ghiacciai
campione,
prima
dell’inizio
della
fusione
(ablazione)
viene
definito
l’accumulo
con
profili
di
spessore
della
neve
e
valutandone
la
densità
media.
Un
lavoro
abbastanza
faticoso,
ma
sicuramente
appassionante
e
che
oggi
risulta
facilitato
se
svolto
con
idonei
mezzi
e
adeguata tecnologia.
Ottenuto
il
valore
di
quantità
di
neve
presente
sulla
superficie
del
ghiacciaio,
lo
si
confronta
con
quello
analogamente
calcolao
alla
fine
della
stagione
estiva.
Con
una
semplice
operazione
aritmetica,
e
sulla
base
della
suddivisione
delle
aree
per
fasce
altimetriche,
si
ricava
un
valore
che
può
essere
negativo
o
positivo,
a
seconda
che
sia
di
più
la
neve,
il
nevato
ed
il
ghiaccio
persi
per
fusione,
rispetto
alla
neve
conservatasi alle quote più elevate, o viceversa.
Questo
tipo
di
indagine
può
essere
fatta
puntualmente
su
singoli
ghiacciai,
ma
può
anche
essere
valutata
dal
punto
di
vista
qualitativo
(non
quantitativo),
attraverso
campagne
di
rilevamento
fatte
sul
terreno o con foto aeree di prossimità.
Questa
è
l’attività
che
annualmente
svolgono
gli
operatori
del
Servizio
Glaciologico
del
CAI
Alto
Adige
che
misurano
principalmente
le
variazioni
frontali
e
valutano
al
momento
del
sopralluogo,
le
condizioni
di
innevamento
residuo
sulla
superficie.
Tutti
i
dati
raccolti
nel
corso
delle
campagne
glaciologiche
vengono
poi
trasferiti
in
apposite
schede
che
analizzate
nel
loro
insieme,
consentono
di
fare
una
valutazione
riguardante
l’andamento
glaciologico,
sia
per
l’intero
ambito
della
provincia
che
per
diversi
settori dalle montagne atesine.
Normalmente
ai
rilievi
terrestri
si
accompagna
un
rilievo
aereo
che
fornisce
foto
(anche
stereo
prospettiche)
idonee
a
definire
un
quadro
qualitativo
più
ampio
e
generale
della
situazione
alla
fine
della stagione estiva.
Riguardo
alla
quantità
di
ghiacciai
osservati,
nella
Campagna
del
2016,
ad
esempio,
sono
state
visitate
più
di
40
fronti
glaciali
ed
ancor
più
sono
state
fotografate
con
foto
panoramiche
aeree.
Soddisfacente
anche
la
documentazione
raccolta
nell’estate
del
2017
con
oltre
30
soggetti
visitati
e
descritti.
Ovviamente
il
numero
dei
ghiacciai
osservati
è
anche
in
dipendenza
delle
condizioni
ambientali
(ad
esempio presenza del manto nevoso precoce) e della disponibilità degli operatori.
Nel corso del 2017 sono stati pubblicati due articoli inerenti il nostro operato:
Quotidiano Alto Adige
Rivista Lo Scarpone
Ghiacciaio di Mazia 2016
Foto Giovanni Greco e Paolo Tosi
Gran Pilastro 2015
Foto Ivan Bertinotti
Vedretta di Grames 2017
Foto Pietro Bruschi
Ghiacciaio di Malavalle 2016
Foto aerea Franco Secchieri
I ghiacciai si stanno ritirando velocemente
I
ghiacciai
sono
elementi
fondamentali
dell'ambiente
dell'alta
montagna.
Con
la
loro
presenza
caratterizzano
l'aspetto
del
paesaggio
e
lo
rendono
più
selvaggio
ed
attraente.
Purtroppo
l'attuale
fase
climatica,
negativa
per
il
glacialismo,
sta
modificando
profondamente
i
ghiacciai
che
vanno
riducendosi
sensibilmente
di
forma
e
di
spessore.
Dopo
una
fase
di
modesta
avanzata
verificatasi
tra
gli
anni
'60
e
'80,
tutti
i
ghiacciai
hanno
cominciato
ad
arretrare
a
causa
delle
sempre
minori
precipitazioni
e
della
loro
diversa
distribuzione
nell'arco
della
annata
idrologica
e
per
le
maggiori
temperature
soprattutto
estive.
Nella
storia
meteorologica
degli
ultimi
anni
si
può
ricordare
lo
straordinario andamento termico dell'estate del 2003 e la scarsità di neve dell'inverno 2006 - 2007.