Vedretta Alta (a destra) e Ultima (Val Martello)  alla fine di Agosto del 2017.  Foto Stefano Benetton e Giuseppe Perini
Ghiacciaio di Mazia 2016 Foto Giovanni Greco e Paolo Tosi
Gran Pilastro 2015 Foto Ivan Bertinotti
Vedretta di Grames 2017 Foto Pietro Bruschi
Ghiacciaio di Malavalle 2016 Foto aerea Franco Secchieri
Aprile 2022 In questo periodo, come mai prima, sta enormemente crescendo l’attenzione, soprattutto mediatica, verso i ghiacciai anche e soprattutto per la testimonianza che essi danno e che hanno dato riguardo alle variazioni del clima. Infatti potremo considerare i ghiacciai come preziosi strumenti naturali che con le loro dinamiche e con le tracce da essi lasciate sul terreno sono in grado di fornirci preziose indicazioni sulla storia climatica del nostro pianeta sia passata che recente. Com’è noto la “vita” di un ghiacciaio, e in generale quella di tutti gli elementi che compongono la criosfera, è strettamente legata al clima ed alle sue variazioni, dalle ere glaciali fino alle fasi minori di epoca storica o addirittura a quelle recenti. Grazie alle forme soprattutto moreniche che i ghiacciai ci hanno lasciato possiamo ricostruire l’evoluzione del clima a partire, ad esempio, dalla fine dell’ultima glaciazione circa 12.000 anni fa quando grandi lingue gelate riempivano le valli alpine arrivando fino a sfociale sulla pianura. Venendo a tempi ben più recenti, osservando alcune tipiche forme moreniche possiamo riconoscere l’ultima importante piccola fase glaciale, nota col nome di L.I.A. (dall’inglese Little Ice Age) verificatasi tra il XV e XVIII secolo. Riguardo agli eventi climatici successivi è possibile osservare davanti alle attuali fronti dei maggiori ghiacciai di alcune minori tracce del più breve e modesto raffreddamento avvenuto sulle nostre montagne tra i 1960 ed il 1985 circa. Si tratta in genere di piccole morene di neoformazione rintracciabili nelle aree proglaciali, a monte delle morene della LIA (v. foto). Oggi stiamo assistendo ad una anomala accelerazione nel processo di riduzione dei ghiacciai tra le cui cause vi è certamente la minore quantità di precipitazioni nevose e soprattutto l’aumento delle temperature, specialmente quelle estive ad incrementare le quali contribuisce anche la riduzione nel tempo e nello spazio del manto nevoso al suolo. Diminuisce infatti l’albedo e di conseguenza aumenta il calore immagazzinato dalla superficie delle terre e rocce. Il danno peggiore verso cui stiamo andando incontro riguarda la crisi idrica dovuta alla scarsità dell’acqua immagazzinata in forma solida (neve, nevato, ghiaccio e permafrost) della quale soffrono i fiumi della pianura padana con portate eccezionalmente scarse. Da anni gli operatori glaciologici del CAI Alto Adige, così come i loro colleghi del Comitato Glaciologico Italiano e degli altri Gruppi sia Trentini che Lombardi, seguono e documentano lo stato dei ghiacciai alla fine delle stagioni estive, misurando le variazioni frontali ed osservando altri importanti parametri glaciologici come il limite delle nevi al fine di avere una esatta conoscenza di quanto sta succedendo sulle fasce altimetriche più elevate. Oggi le nuove tecnologie come i droni o le immagini satellitari danno senza dubbio un contributo significativo ai monitoraggi sia per la quantità che la qualità dei dati che si rendono disponibili. Tuttavia l’avvicinamento spesso difficoltoso ed il contatto diretto col ghiacciaio rimane una pratica utile e soprattutto bella perché possiede ancora il sapore dell’avventura che appassiona i nostri operatori. Il 2022 è un anno importante per il Servizio Glaciologico altoatesino perché celebra il suo 30° anniversario dalla nascita, evento che sarà opportunamente celebrato con un convegno che si svolgerà a Bolzano nel mese di Ottobre 2022. Pietro Bruschi, Presidente Franco Secchieri, coordinatore scientifico I ghiacciai si stanno ritirando velocemente I ghiacciai sono elementi fondamentali dell'ambiente dell'alta montagna. Con la loro presenza caratterizzano l'aspetto del paesaggio e lo rendono più selvaggio ed attraente. Purtroppo l'attuale fase climatica, negativa per il glacialismo, sta modificando profondamente i ghiacciai che vanno riducendosi sensibilmente di forma e di spessore. Dopo una fase di modesta avanzata verificatasi tra gli anni '60 e '80, tutti i ghiacciai hanno cominciato ad arretrare a causa delle sempre minori precipitazioni e della loro diversa distribuzione nell'arco della annata idrologica e per le maggiori temperature soprattutto estive. Nella storia meteorologica degli ultimi anni si può ricordare lo straordinario andamento termico dell'estate del 2003 e la scarsità di neve dell'inverno 2006 - 2007. Basterà la neve caduta questo inverno per recuperare il deficit di massa dei ghiacciai ? In molti si sono chiesti se le abbondanti nevicate di questo inverno 2017 2018 possono rimediare alla grave situazione in cui si sono venuti a trovare i ghiacciai alpini negli ultimi anni, con sensibili riduzioni di area e di volume. Si tratta certo di domanda quanto mai pertinente, anche se emotivamente legata alla drammatizzazione mediatica sui temi climatici che sta sempre più condizionando l’opinione pubblica. Certamente la situazione in cui si trovano oggi le masse gelate delle nostre montagne, a cominciare da quelle dell’Alto Adige, è gravemente compromessa, dopo annate con accentuata siccità invernale e temperature estive elevate. Due fattori, questi, che hanno portato ad un deficit che non ha interessato solo le masse gelate, ma che si è ripercosso anche sulla stessa risorsa idrica. Ricorderemo certamente le condizioni in cui si sono venuti a trovare i corsi d’acqua, non solo i minori ma anche i fiumi come ad esempio l’Adige che non aveva mai mostrato una magra tale da farlo sembrare per certi tratti di pianura addirittura in secca. Tornando alla domanda iniziale, si può affermare che, per quanto si sia trattato di un inverno nevoso, da solo non può bastare a sopperire al deficit idrologico e glaciologico perché qualche metro di neve in più non può considerarsi risolutivo del problema. Va sottolineato anche che la nevosità di questo inverno non rappresenta una anomalia dato che l’andamento meteo climatico non ha nulla di eccezionale. Per quanto riguarda i ghiacciai, è ancora troppo presto per parlare di bilanci dato che i conti, o meglio il bilancio glaciologico o di massa, si fanno alla fine dell’estate. Per le valutazioni del “bilancio annuale”, riferito all’annata meteorologica che, per l’alta montagna in generale, si comincia con il mese di Ottobre, quando inizia a depositarsi il manto nevoso, per finire in Settembre dell’anno (solare) successivo, quando si può considerare esaurita l’ablazione estiva (cioè lo scioglimento della neve e del ghiaccio). E’ proprio sulla base di questa periodicità che si possono determinare le dinamiche glaciologiche. Infatti in luoghi particolari dell’alta montagna, con caratteristiche morfologiche e di esposizione idonee, alla fine dell’estate può rimanere una certa quantità di neve residua e, se questo fatto perdura negli anni, è evidente come vi sia un progressivo incremento del cumulo di neve la quale, col passare del tempo, si trasforma via via in nevato e poi finalmente in ghiaccio di ghiacciaio. Questa metamorfosi fa si che aumenti moltissimo la densità passando da circa 30 chilogrammi per metro cubo (neve fresca), a oltre 900 chilogrammi per m3 (ghiaccio di ghiacciaio). Se il processo di accumulo prosegue nel tempo, gli spessori della massa gelata possono diventare notevoli, tanto da farle assumere un comportamento plastico che ne determina il movimento (verso il basso). Si assiste perciò alla formazione di un vero e proprio ghiacciaio, con tanto di lingua di ablazione la quale prende origine dal bacino di raccolta. Naturalmente i tempi di tale evoluzione sono molto lunghi, anche di parecchi decenni per i ghiacciai di maggiori dimensioni. Tanto per dare una sintetica dimensione spazio temporale del fenomeno glaciale, le grandi glaciazioni (5 negli ultimi due milioni di anni) sono durate decine di migliaia di anni, e sono state intervallate da altrettanti periodi caldi di analoga durata. Riguardo a periodi storici ben più brevi e recenti, si sono sempre alternati periodi freddi a periodi caldi, anche di più di quello attuale. Per oltre tre secoli, ad esempio, dal 1500 fino a circa metà del 1800, ci fu in Europa un periodo molto freddo che è stato definito come Piccola Età Glaciale. Tuttavia l’attuale tendenza evolutiva del clima non depone a favore dell’ottimismo, in senso glaciologico. Dagli anni ’80 del secolo scorso, infatti, è cominciata una fase estremamente negativa (oggi ancor più accentuata) che ha ridotto drasticamente le masse gelate. Inoltre dai dati che oggi abbiamo a disposizione non si hanno indicazioni di inversione di tendenza che, comunque, dovrebbe essere valutata nel lungo periodo (decenni). Quello che oggi si definisce come riscaldamento globale trova conforto nell’analisi dei diversi parametri meteorologici e climatici. Per valutare le conseguenze delle dinamiche meteo climatiche sulle masse gelate, vanno effettuate periodiche misurazioni sia riguardanti sia le variazioni frontali che quelle idonee a quantificare il bilancio di massa. I controlli avvengono in base alla scansione stagionale. Per quanto riguarda il bilancio di massa su ghiacciai campione, prima dell’inizio della fusione (ablazione) viene definito l’accumulo con profili di spessore della neve e valutandone la densità media. Un lavoro abbastanza faticoso, ma sicuramente appassionante e che oggi risulta facilitato se svolto con idonei mezzi e adeguata tecnologia. Ottenuto il valore di quantità di neve presente sulla superficie del ghiacciaio, lo si confronta con quello analogamente calcolao alla fine della stagione estiva. Con una semplice operazione aritmetica, e sulla base della suddivisione delle aree per fasce altimetriche, si ricava un valore che può essere negativo o positivo, a seconda che sia di più la neve, il nevato ed il ghiaccio persi per fusione, rispetto alla neve conservatasi alle quote più elevate, o viceversa. Questo tipo di indagine può essere fatta puntualmente su singoli ghiacciai, ma può anche essere valutata dal punto di vista qualitativo (non quantitativo), attraverso campagne di rilevamento fatte sul terreno o con foto aeree di prossimità. Questa è l’attività che annualmente svolgono gli operatori del Servizio Glaciologico del CAI Alto Adige che misurano principalmente le variazioni frontali e valutano al momento del sopralluogo, le condizioni di innevamento residuo sulla superficie. Tutti i dati raccolti nel corso delle campagne glaciologiche vengono poi trasferiti in apposite schede che analizzate nel loro insieme, consentono di fare una valutazione riguardante l’andamento glaciologico, sia per l’intero ambito della provincia che per diversi settori dalle montagne atesine. Normalmente ai rilievi terrestri si accompagna un rilievo aereo che fornisce foto (anche stereo prospettiche) idonee a definire un quadro qualitativo più ampio e generale della situazione alla fine della stagione estiva. Riguardo alla quantità di ghiacciai osservati, nella Campagna del 2016, ad esempio, sono state visitate più di 40 fronti glaciali ed ancor più sono state fotografate con foto panoramiche aeree. Soddisfacente anche la documentazione raccolta nell’estate del 2017 con oltre 30 soggetti visitati e descritti. Ovviamente il numero dei ghiacciai osservati è anche in dipendenza delle condizioni ambientali (ad esempio presenza del manto nevoso precoce) e della disponibilità degli operatori. Nel corso del 2017 sono stati pubblicati due articoli inerenti il nostro operato: Quotidiano Alto Adige Rivista Lo Scarpone
Vedretta di Lana nel 2014 Morena di neoformazione relativa alla  piccola espansione degli anni ’60.    Foto Marco Mattiato
Vedretta di Lana nel 2020 Morfologie moreniche relative alla LIA e alla piccola avanzata del 1960/1985 Foto aerea Franco Secchieri